L’estorsione non è solo il “pizzo”: nuovo intervento del penalista Alessio Carlucci

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Quando sentiamo parlare del reato di estorsione immaginiamo la situazione classica in cui il malvivente chiede il cd. pizzo a un commerciante per evitare danni o ritorsioni in caso di rifiuto.

Ma il reato di estorsione può ricorrere anche con la minaccia di licenziamento, nell’ambito delle aste giudiziarie e anche con una querela per diffamazione.

Avvocato Alessio Carluccidi Alessio Carlucci, Avvocato del Foro di Bari

Commette il reato di estorsione chiunque, attraverso una condotta minacciosa o violenta, costringe taluno a fare od omettere qualcosa da cui deriva un ingiusto profitto per l’autore ( o per terzi) e danno per la vittima.

La minaccia può consistere nel prospettare un danno verso cose o immobili ( l’incendio di un locale) ovvero un attentato alla integrità o vita della persona.

La vittima, condizionata dalla violenza fisica o psicologica, acconsente alle richieste del malfattore con una condotta attiva ( pagare una somma di danaro) o passiva ( non esigere un credito personale).

In realtà tale figura delittuosa può assumere i contorni più vari e realizzarsi in contesti molto particolari. Tra questi ultimi, un luogo dove si consuma non di rado la condotta estorsiva è il posto di lavoro.

La minaccia di licenziamento

In un caso sottoposto alla Corte di Cassazione, il proprietario di un bar aveva assunto alcuni dipendenti con contratto part time.

In realtà l’orario di lavoro si estendeva alla intera giornata ma la retribuzione era ridotta.

All’atto della assunzione il datore di lavoro aveva preteso dai dipendenti una lettera di dimissioni firmata in bianco sicchè, nel caso questi ultimi avessero successivamente chiesto il rispetto delle reali condizioni di impiego, sarebbero stati licenziati.

La Corte di Cassazione ha ritenuto sussistente nel caso di specie il reato di estorsione.

Con la minaccia del licenziamento il datore di lavoro aveva costretto i dipendenti ad accettare condizioni di lavoro inique con danno economico per questi ultimi consistente in uno stipendio ridotto rispetto all’orario di lavoro effettivamente prestato.

L’ingiusto profitto per il datore di lavoro consisteva nel minor costo della retribuzione non proporzionata alla quantità di lavoro prestato.

Le aste giudiziarie

Altro caso di estorsione atipica si verifica nell’ambito delle aste giudiziarie.

Vi sono soggetti che partecipano alla gara non già per acquistare l’immobile o altro bene in vendita ma per ottenere somme di danaro da altri partecipanti in cambio della loro astensione.

In questo caso il soggetto minaccia di fare una offerta che faccia lievitare il prezzo del bene e costringe in tal modo chi è realmente interessato all’acquisto a versare una somma non dovuta .

E’ pur vero che il soggetto prospetta l’esercizio di un diritto – e cioè quello di partecipare alla gara – ma secondo la Cassazione tale esercizio è finalizzato a conseguire un profitto ingiusto e, come tale, integra appieno il reato di estorsione.

Il risarcimento del danno per diffamazione

Ultimo esempio (ma ne potremmo fare molti altri) riguarda il risarcimento del danno conseguente alla proposizione di una querela per diffamazione.

Il querelato aveva un particolare interesse a definire bonariamente la vicenda in quanto partecipante ad un concorso pubblico dove era richiesto il certificato dei carichi pendenti.

Il querelante, consapevole di ciò, aveva chiesto ed ottenuto una somma enormemente superiore a quella congrua per rimettere la querela.

Anche in questo caso è stata ravvisata la estorsione perché il risarcimento del danno da diffamazione era quantitativamente ingiusto e sussisteva la minaccia per il querelato consistente nel timore di non poter partecipare al concorso pubblico.

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