Lista ABC Acquaviva: “Basta con la speculazione dell’eolico in Puglia”

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Il progetto di un parco eolico che, nell’intenzione della società promotrice Enel Green Power, vedrà l’installazione tra Acquaviva e Casamassima di 15 aerogeneratori di altezza massima pari a 200 mt e una potenza complessiva di 90 MW, preoccupa la politica locale:

“è necessario considerare il fattore sostenibilità quando si pianifica un simile progetto, non ha senso installare impianti per produzione energetica di grandi dimensioni se per farlo si devasta un territorio come il nostro caratterizzato da produzione agricola di eccellenza, da ecosistemi di pregio, da fenomeni carsici nel sottosuolo e allo stesso tempo coinvolto in dinamiche di attrazione turistica”.

Questo è quanto affermano gli esponenti della Lista ABC di Acquaviva in un comunicato stampa diffuso in queste ore:

Proteste per il Parco Eolico tra Acquaviva e Casamassima

Lista ABC Acquaviva: “Basta con la speculazione dell’eolico in Puglia”

“Ancora una volta il nostro territorio torna a far gola ai soliti noti del business dell’eolico. Questa volta tocca ad Enel Green Power che vorrebbe realizzare un mega impianto di produzione di energia elettrica dal vento in un territorio che, sappiamo bene, non ha le caratteristiche idonee per rendere economicamente produttivi questo genere di impianti.

Un nuovo progetto che prevederebbe l’installazione sul territorio comunale di Acquaviva e Casamassima di 15 pale eoliche dell’altezza di ben 200 metri ciascuna, si tratta del modello di pale eoliche terrestri più grande attualmente esistenti sul mercato! La ragione dell’abnorme altezza di queste macchine è dovuta al fatto che sul nostro territorio non soffiano venti con caratteristiche tali da garantire un’adeguata produzione di corrente elettrica come invece avviene, per esempio, nella zona appenninica dei Monti Dauni.

Sappiamo bene che le fonti rinnovabili possono rappresentare una utilissima alternativa alla produzione energetica tradizionale che utilizza i sempre più costosi e inquinanti combustibili fossili. Ma bisogna abbandonare la logica novecentesca della grande centrale elettrica, se gli impianti fotovoltaici coprissero i nostri edifici e il minieolico alimentasse le nostre masserie non avremmo più bisogno di nuove centrali.

È necessario, infatti, considerare anche il fattore sostenibilità quando si pianifica un simile progetto, non ha senso installare impianti per produzione energetica di grandi dimensioni se per farlo si devasta un territorio come il nostro caratterizzato da produzione agricola di eccellenza, da ecosistemi di pregio, da fenomeni carsici nel sottosuolo e allo stesso tempo coinvolto in dinamiche di attrazione turistica.

L’ipotesi di rinunciare a una fetta di territorio per produrre energia pulita dal vento (o dal sole) sarebbe eventualmente plausibile qualora questi impianti si rivelassero essere una valida alternativa a quelli di produzione energetica da combustibile fossile ma purtroppo così non è. La Puglia, infatti, produce più del doppio del proprio fabbisogno energetico eppure, nonostante sia la prima regione in Italia per produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili come l’eolico e il fotovoltaico, un impianto mostruoso come la centrale elettrica di Cerano, nell’area industriale di Brindisi, che brucia carbone per poter produrre energia elettrica continua a restare attiva alla faccia della decarbonizzazione e degli inaccettabili impatti in termini di salute umana che impianti come questi hanno a causa dei loro fumi.

Il vero problema sta nel fatto che una delle poche infrastrutture nazionali statali rimasta centralizzata è quella della produzione e distribuzione dell’energia elettrica. Mentre la sanità, il welfare e l’istruzione pubblica sono state spezzettate su base regionale, con i disastri che sono sotto gli occhi di tutti, la produzione elettrica e la sua distribuzione restano un modello centralizzato, pertanto l’energia elettrica prodotta per esempio in Puglia può essere convogliata attraverso la rete elettrica nazionale per alimentare le fabbriche lombarde.

L’esempio non è casuale, infatti sappiamo bene che sono proprio le grandi industrie i maggiori consumatori di corrente, di conseguenza la domanda di energia elettrica cresce con la maggiore presenza di grandi aree industriali. Questo vuol dire che in pratica tutte le regioni del Sud Italia producono molto più del proprio fabbisogno energetico e devolvono gratuitamente in rete il surplus elettrico prodotto sul proprio territorio per convogliarlo a favore dei più grossi centri industriali localizzati come ben sappiamo nelle regioni settentrionali.

Non ci sarebbe niente di male se vivessimo in uno stato centralizzato ma così non è e infatti sappiamo bene come la riforma costituzionale del federalismo fiscale e dell’autonomia differenziata delle regioni abbia cambiato l’assetto istituzionale del nostro paese impedendo di fatto una più equa distribuzione di risorse tra le regioni più ricche e più povere dell’Italia.

A questo punto, provocatoriamente, verrebbe da dire che se dobbiamo cedere una fetta di territorio per produrre energia elettrica a favore di altre regioni italiane queste regioni dovrebbero pagarci l’elettricità così come la Puglia paga i sistemi sanitari delle altre regioni quando un cittadino pugliese va fuori regione per curarsi.

È evidente come questa logica di installazione di impianti altamente impattanti di produzione elettrica, seppure da fonti rinnovabili, nelle regioni del Sud abbia un sapore di stampo colonialista che ancora una volta vanno a penalizzare il territorio e l’industria turistica dell’Italia meridionale.

Ma non è finita, la normativa comunitaria e nazionale prevede che ciascun produttore di energia elettrica per poter esercitare sul territorio europeo e italiano debba obbligatoriamente produrre una quota di energia pulita, da fonti rinnovabili. L’energia pulita “prodotta” è riconosciuta dai certificati verdi. Chi non produce energia da fonti rinnovabili, però, può sempre comprare la propria quota acquistando i certificati verdi da altre società (magari satellite dello stesso gruppo industriale) produttrici di energia rinnovabile.

Il problema è che questa certificazione non avviene sulla produzione reale di energia elettrica degli impianti bensì sulla produzione nominale di energia ovvero su quanto l’impianto dovrebbe produrre sulla carta. Questo fa sì che un parco eolico con pale immense anche se funziona a mezzo regime perché c’è poco vento “utile”, come potrebbe essere nel nostro caso, comunque garantisce una buona quota di certificati verdi perché la potenza nominale di macchine tanto grandi è molto elevata. Questo vuol dire che comprando i certificati verdi di un impianto improduttivo da fonti rinnovabili un produttore che utilizza metodi vetusti e inquinanti come quelli della combustione di carbone per generare elettricità potrà continuare a farlo senza riconvertire i propri impianti.

È questo insieme di ragioni che ci fanno gridare allo scandalo e ci fanno obiettare con forza all’installazione di questi mega impianti eolici sul nostro territorio. Non siamo disponibili a vedere la nostra terra violentata e sfruttata, i nostri muretti a secco devastati, i nostri tratturi deturpati, le nostre falde sotterranee distrutte, i nostri paesaggi deturpati se questo sacrificio non solo non porterà alla riduzione di emissioni di CO2 ma addirittura consentirà la sopravvivenza degli impianti termoelettrici inquinanti come quello di Brindisi.

Come abbiamo già fatto in passato e non solo per impianti che ricadevano sul territorio comunale acquavivese, ci mobiliteremo in tutte le sedi, istituzionali e non, attraverso il coinvolgimento della società civile e di tutte le realtà associative e produttive sensibili a questa tematica affinché le nostre osservazioni e la voce del nostro territorio giungano forti e chiare sia ai proponenti che alle istituzioni regionali e nazionali”.


LISTA ABC ACQUAVIVA

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